Nel bosco

Mi ritrovo a scivolare sopra le foglie dell’intelletto; quello intellegibile. Un intelletto fatto di personali sensazionali scoperte di un eterno ricorso d’esperienze. Verdi sospiri che iniettano nuovi odori nell’aria, e che proteggono col vento il significato che con le spire avvolge l’essenza.

Il verde vincola il mondo degli uomini a rimanere fuori: distante perché adesso l’importante è nascosto. Oblio per chi è destinato ad ascoltare senza capire. O anche a chi capisce ma poi dimentica, dimenticando prima ancora di capire. Il sospiro pulisce la coscienza dell’altro inducendo mentali catarsi e poi… e poi?

Un nido di humus, di terra, di lombrichi, di insetti. Un covo di rane, di rami spezzati, foglie, un letto. Pennellate scostanti e strutturate: costruite su un dinamico evolversi di idee. Nell’umido cresce la volontà, si sviluppa la coscienza e poi lascia lo spazio al violento affermarsi degli istinti, spronati dalla luce che filtra dall’alto dei rami ancora verdi. Pioggia di luccicanti elementi, si infrange sul morbido pavimento lasciando evaporare voglie, rancori, passioni, impulsi. Poi piove acqua e quella che filtra li spegne e quando passa lascia a terra, stese, malinconie, tristezze, riflessioni, meravigliose titubanze. Tappeto fluttuante nell’aria che protegge e lascia filtrare, filtra e protegge. E mantiene.

Esce l’organico da movimenti viscidi combinati a flebili energie che si contorcono in esuberanti danze poietiche. Perché l’origine delle idee è così elegante e al tempo stesso tanto ipocrita?

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