2 anni

Pensavo che averti perso fosse una di quelle cose che capitano una volta sola. Non è possibile perdere più di una volta una persona, o sbaglio? E invece l’esperienza mi dimostra proprio l’esatto contrario. Ogni istante potrebbe rivelarsi, in modo del tutto (apparentemente) casuale, foriero di ricordi agganciati a lui. A volte dei regali graditi, altre invece delle sorprese, altre ancora dei viaggi attraverso percorsi emotivi accidentati e malinconici.

Fortuna che il tempo non si ferma ma che procede e ha quel bel potere di rimescolare gli eventi così da modificarne addirittura il loro susseguirsi. Da Genova non ho mai fatto in tempo a poterti salutare per l’ultima volta. Sono arrivato troppo tardi. Quel viaggio in treno sarà il mio viaggio più insensato, quello che si è rubato pezzi di razionalità e li ha lanciati lontanissimo da me. Si è addirittura preso tutti i viaggi che avrei voluto fare successivamente e che, da due anni, non sono più riuscito a fare. Erano appena le 23 quando il treno stava per fermarsi a Termini, e, poco prima, una telefonata di mia madre annunciava il mio ritardo: “Babbo non ce l’ha fatta“.

Non ho mai visto una banchina così lunga a fianco del treno. Il pavimento freddo e i passi lenti, incerti. Le gambe cedono. Non scende ancora neanche una lacrima. Arriva F. correndo, le sussurro qualcosa e lei mi risponde: “Cosa? Cosaaa?“. Le cado addosso, mi abbandono con un abbraccio all’inevitabile. Sono arrivato tardi, anche solo per dirgli “buon viaggio“.

Eppure la Terra ha compiuto due giri interi attorno al Sole. Solo questo è successo. E tutto, dall’alto, è esattamente com’era prima; per questo il cuore deve vivere nell’infinitamente piccolo e la mente nell’infinitamente grande.

Sula Bassana

Sula Bassana
Sula Bassana

La prima volta che vidi una sula bassana, mi trovavo in Scozia.
In effetti forse è stata anche l’ultima volta che ne ho viste. A catturare la mia attenzione, la sua armonia nonostante la sua stazza. Mi trovavo nei pressi di un faro, il vento sferzante al nord di Skye.

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Sula Bassana in picchiata

Osservai le evoluzioni a 40 o 50 metri di altezza sopra il livello del mare. Le guardai estasiato.
L’uccello marino porta dentro di sé malinconia e consapevolezza e le miscela sapientemente per creare il suo canto. Così, ogni volta che ascolto le loro voci posso iniziare una lotta interiore ed uscirne felicemente sconfitto.

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Sula Bassana in volo

Ero troppo lontano per udire il suo canto e quindi mi concentrai sul suo modo di volare, e rimasi stupefatto, più che dalle sue evoluzioni, da come si lanciava in picchiata per pescare.
In un primo momento si fermò in aria, poi, con prontezza cambiò l’equilibrio che la teneva orizzontale rispetto al pelo dell’acqua, per lasciarsi attrarre dalla Terra in una evoluzione verticale e giù a capofitto verso il mare.

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Sula Bassana in picchiata

La prima volta che la vidi scagliarsi con così tanta energia ed eleganza al tempo stesso, non potei credere che stava accadendo. Per fortuna ne vidi altre che prima volavano, poi si fermavano e poi si gettavano in picchiata per procurarsi il cibo.
Ad ogni tuffo fui in grado di percepire sempre più dettagli e rimasi così a fissarle per lunghi minuti che mi fecero dimenticare completamente della mia presenza in un luogo affascinante perché distante dall’uomo.

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Sula Bassana

Poi lessi che la sula è un uccello migratore e che forma coppie fisse che, spesso, durano tutta la vita.

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Sula Bassana in volo

A Japan diary – Day 19

01.09.15 – Kamifurano

Ci arriverò,
o indicherò agli altri la strada per arrivarci
Anton Čechov

È settembre e sono 19 giorni che mi trovo su quest’isola.

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

A prescindere dal fatto che non vorrei essere in nessun’altro posto, stare qui è particolarmente famigliare. Cosa dovrei fare per rendere la mia permanenza ancora più vicina alla cultura in cui mi trovo immerso?
La terra. Probabilmente devo toccare la terra. Probabilmente dovrei mangiarla, la terra. E dovrei immergermi nell’humus, negli interstizi che ne pregiudicano la compattezza. Essere costretto, per evaderne. E poi per capire cosa mi aspetta nel mio futuro. Ma cosa ne sappiamo noi del futuro? Ma quello che viviamo è presente, passato o futuro? Perché abbiamo questa necessità di distinguerlo? Serve veramente?

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

La cosa più indicata da fare per capire è tastare il terreno, esserne parte.
Lo sapevo che infine avrei raggiunto l’apice del pensiero semplice. Osservare, amare, invadere gli altri coi propri sentimenti. Leggere e scrivere più che parlare. Parlare toglie lo spazio al pensiero.

Il mio è un pregiudizio.

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

Indicami la via più facile da percorrere per essere quello che non sono mai stato. Indicami la via più breve verso il pregiudizio perfetto. E poi, per favore, abbandonami lì insieme a tutti i pensieri che usano verbi imperfetti.

Nuvole e libellule attraverso l’Hokkaido. Questa immagine è lì, e lì rimane. Il ricordo è futuro. Il ricordo è la mia proiezione verso l’anticipo del tempo. La mia presenza risiede nell’attuale, ma l’attuale che cosa comporta?

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

Mi sento più solo del solito. Sono venuto a lavorare qui. Patate. Tutto il giorno ミックジャガイモ, cioè una qualità di patate (jagaimo) che si chiamano mikku. In pratica Mick Jagger. Con l’australiano siamo stati a ridere almeno mezz’ora su questa cosa.

Ho preso in prestito una bicicletta a Tanaka-san. E ho preso a pedalare.
Mi mancava un sacco pedalare. E mi è mancato da 12667 giorni. Però non lo ricordo. Così come non ricordo molte altre cose, mentre il sole si spegne in faccia al Daisetsuzan.

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

Dicevo le patate.

Coltivare, innaffiare, cogliere. Tutte azioni che comportano crescita, cura, amore. Sono queste azioni che danno il senso della crescita, il senso dell’approccio culturale che cercavo. Ecco perché lavorare serve a entrare empaticamente con la cultura di un popolo. Perché lavorare è quello che impegna per la maggior parte del tempo le persone e che le fa stare insieme (collaborare). Il segreto della cultura è nel lavoro. Per questo cultura ed arte, secondo me, sono due cose prettamente separate, distinte.
Possono esistere senza mai toccarsi, oppure possono sembrare la stessa cosa.

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

In alcuni casi però cultura ed arte si fondono in maniera simbiotica e genuina.

Così come quando Tanaka-san si ferma, pronunciando alcune parole in giapponese, tra cui 蜻蛉 (tonbo, libellula). È lì che aspetta, sotto il sole tiepido dell’Hokkaido. Aspetta che una libellula si posi sul suo dito che indica il cielo e, proprio in quell’istante, le ali si fermano, smettono di battere ed il corpo sottile di quell’insetto si posa in bilico estremo sull’indice del signor Tanaka.

Siamo umani, dopo tutto.

Kamifurano – Japan – September 1, 2015
Kamifurano – Japan – September 1, 2015

A Japan diary – Day 18

31.08.15 – Kamifurano

La nave, la nave, la nave va nel mare
Porta con sé le delusioni che non riusciamo a dimenticare
Maledetta nave
Maledetto mare
Bugo

Oggi mi trovo a pensare a come gli uomini distruggono una lingua.
Gli italiani sono i migliori per prendere una lingua e per tagliuzzarla, farla sanguinare.
“Impianto selfizzato”. Mi ricordo di questa scritta, fuori da una stazione di carburante. Impianto selfizzato… questa è una coltellata dritta al petto dell’italiano (della lingua); non lo dico con tono reazionario, conservatore, la lingua cresce, si evolve, altrimenti saremmo ancora qui a parlare a versi, come gli animali.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

Certo che impianto selfizzato fa proprio male.
Ci sto pensando mentre colgo le patate sul campo di Tanaka-san. Sono insieme alla famiglia, una famiglia allargata, bella. C’è Tanaka, sua moglie, il figlio insieme a sua moglie e una ragazza che viene ad aiutarli. E poi ci sono i wwoofer. C’è Leroy, il sudafricano, poi Lucille, la francese, An Sso, la coreana. Poi ci sono io. C’è il silenzio e la fatica su quel campo.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

Io mi sento come il TP53 della lingua italiana. E sento il bisogno di riprodurmi anche per epurare la lingua da tutto questo bisogno di superficialità.
Impianto selfizzato…
Mi sembro Moretti nel suo capolavoro “Palombella Rossa”. Il mio atto terroristico sarà quello di strappare la parola “selfizzato” da quel cartello prima o poi.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

La giornata si alterna tra momenti di fatica, di divertimento. Il tutto scandito dalle pause tè.
Tanaka-san ci fa fermare e alle 10.30 in punto ci invita a radunarci verso il bordo del campo. Spegne il motore del trattore, scende e ci raggiunge. Con il suo “tea time”, il tempo si ferma e con lui anche tutto il resto della famiglia.
Sento che mi mancherà quel momento. Sento che mi mancherà il sentir parlare giapponese, tutti attorno a me (compresi i miei compagni wwoofer). Tutti tranne me. E nonostante non capisca una parola di quello che dicono, non mi sento affatto escluso né lontano da casa. Anzi, in un certo senso mi sento parte di questa famiglia e non sento alcun peso.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

Mi piacerebbe conoscere la lingua. Mi piacerebbe essere in grado di parlarle tutte le lingue. Chissà cosa succederebbe ai miei neuroni, alle loro connessioni. Sarei in grado di capire meglio il mondo se sapessi parlare tutte le lingue; ma cosa ne sarebbe della mia curiosità? Più che essere in grado di parlare una lingua, vorrei essere in grado di ragionare in una lingua. Quello è il momento in cui si può dire di aver raggiunto un nuovo grado di apertura. Saper solo parlare non serve a nulla. Bisogna saper sentire cosa ha da dirci una lingua, anche se questo sì che è difficile.

Ho finito di lavorare per oggi e dedico il mio tempo per passeggiare nei dintorni della Chinita Farm con la mia macchina cattura-immagini.
Sotto il sole che sta per tramontare, incontro tre ragazzi. Una coppia è vestita come se dovesse sposarsi, lì, in mezzo alla campagna. L’altra persona è una ragazza con una fotocamera che li riprende mentre si atteggiano da promessa di matrimonio.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

Parlandoci mi sembra che siano cinesi. Pare che siano lì in un piccolo alberghetto (di fatto una stanza), proprio di fronte alla casa dei wwoofer.
La ragazza mi invita al loro barbecue per la sera. Valuto la proposta, ma poi non andrò: ho voglia di restare a parlare con i miei nuovi amici.
Leroy è molto sulle sue. Parla poco, lentamente. Anche Lucille è sulle sue e gira per la casa, disinvolta, come se vivesse lì dentro da anni. An Sso mi incuriosisce: ha un viso dolce e una buona pronuncia inglese.

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

A dire la verità pensavo che saremmo stati accolti nella casa insieme a Tanaka-san e famiglia, nella casetta in legno circondata da alberi e campi.
Mi trovo a scrivere sul diario, mentre sono seduto sul divano della dimora dei wwoofer. Avevo bisogno di lavorare questa terra. Perché decidere di lavorare in vacanza? Raccogliere le patate è un lavoro duro e poco gratificante. Un lavoro che avrei potuto fare ovunque al mondo e invece ho deciso di venire a farlo in questo angolo di mondo diametralmente opposto all’Italia. Ma perché? Potrei girare la domanda: perché non avrei dovuto decidere di farlo?

Kamifurano – Japan – August 31, 2015
Kamifurano – Japan – August 31, 2015

A volte penso sia giusto prendere delle decisioni con gli occhi bendati. O più che con gli occhi bendati, con gli occhi coperti dalle mani in modo tale da lasciare qualche piccola fessura per intravedere cosa c’è di là. In questo modo mi trovo a decidere alcune volte. In questo modo trovo dei modi interessanti ed alternativi di vivere.
Ci provo spesso a decidere senza vedere e i risultati sono sempre qualcosa di sublime.

A Japan diary – Day 17

30.08.15 – Sapporo, Kamifurano

Sono di nascita troppo nobile
per diventare proprietà di qualcuno,
per essere il secondo al comando,
o bravo servo e strumento,
di qualsiasi Stato sovrano al mondo.
King John – William Shakespeare

Il Giappone è la terra dei gatti.
Non gli basta essere al centro del mondo, ma vogliono proprio conquistarlo (anche se in realtà già l’hanno fatto, ma adesso fanno finta di essere dei semplici felini in cerca di egoistiche carezze).

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

In Giappone i gatti sono presenti ovunque sotto diverse forme. Dai classici neko portafortuna con la zampina che si muove nei negozi, fino alle insegne che li ritraggono nelle pose più disparate.
Sono arrivato ieri sera a Sapporo dopo un percorso in cui ho attraversato mezzo Giappone, cambiando tre treni. Questa è una soleggiata giornata, il cielo quasi limpido e sembra primavera.
Rispetto al caldo e all’umidità di Tōkyō, l’Hokkaido regala un’aria decisamente più respirabile. Esco lasciando lo zaino al simpatico ragazzo dell’ostello che mi confida che vorrebbe venire a visitare l’Italia. Non è il primo che incontro e me lo dice. E ogni volta non posso che dargli ragione, anche se in questo viaggio, rispetto ad altri, non ne sento affatto la mancanza.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

C’è una torre a Sapporo. Questa torre sembra la Tōkyō tower. La Tōkyō tower sembra la tour Eiffel. Chi ha copiato chi? Nonostante il mio amore esagerato per Parigi, non riesco a guardare queste opere nipponiche come un plagio nei confronti della bella opera di Alexandre Gustave. Queste copie della tour Eiffel hanno una nuova originalità. Il contesto infatti cambia completamente. Non sorgono in mezzo a spazi larghi ed aperti come accade per l’originale parigina. L’originalità di un’architettura non è data dalla sola architettura, ma dal suo contesto. La Mole Antonelliana di Torino non sarebbe così affascinante se non sorgesse tra i palazzi, talmente schiacciata tra gli edifici che per guardarla non c’è altro modo se non farsi venire un torcicollo, obbligati, come si è, a guardarla da sotto.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Così osservo le vasche da bagno in mezzo ai campi con lo stesso sguardo con il quale potrei guardare un’opera moderna al centre Pompidou.
Le città giapponesi sono strane. Ordinate e pulite, colorate e vive.
Sapporo è giapponese anche in questo, tuttavia è molto diversa da Tōkyō o da altre città del sud.
Alcune cose tuttavia non le capisco.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Parecchi giappi sono fissati con la torre dell’orologio di Sapporo e vengono a scattarsi le foto proprio qui sotto. Comunque trovo più divertente guardare loro e meno guardare la torre dell’orologio.
Quanto sono colorati, spensierati, sempre divertiti e che facce simpatiche che hanno. Sembra quasi che lo stress della loro società frenetica non gli appartenga affatto. Sembra quasi che lo stress non esista proprio. Penso a come questo comportamento sia diverso rispetto a quello di coetanei italiani che vanno in giro a scoprire le bellezze delle città dell’Italia. L’approccio potrebbe essere sì spensierato (com’è proprio dei popoli latini), ma sfocerebbe comunque in una imbarazzante e chiassosa cafonaggine all’italiana. Lo scrivo con cognizione di causa e senza malizia, perché anche io mi accorgo di agire così in alcune occasioni, rendendomi inequivocabilmente riconoscibile come un italiano.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Volto l’angolo e mi accorgo di essere stato disegnato da un fumettista.
Non solo io, ma tutto ciò che c’è intorno è stato inchiostrato da qualche bravo disegnatore. Ogni mio movimento è deciso dal movimento della mano di questo demiurgo, che mi dona anche la capacità di vedere e di apprezzare ciò che mi circonda con lo stesso sgomento che avrei se, da fumetto, fossi messo in mezzo alla realtà.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Che bella giornata c’è a Sapporo.
Guarda il frutto della riproduzione umana quanto è divertente. È così bello guardare quelle piccole creaturine dagli occhi allungati che scoprono il mondo. Perché sia bello non lo so, ma provo sempre piacere a guardare come imparano a fare gli adulti. E qui, in Giappone lo trovo ancora più divertente. E poi come si vestono. La mamma che veste il piccolo o la piccola con lo stesso suo stile. Uno stile sobrio, minimale, elegante. Mi mancherà vedere persone vestite così in giro per le strade. Che bella sensazione!

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

C’è un sole che costringe le persone ad utilizzare ombrellini per evitare di rovinare il colore della loro pelle. Non sono abituato a questo tipo di visioni e così disturbo i passanti scattando loro qualche foto.
Il movimento è importante anche quando tutto è fermo. Intendo il movimento indotto, passivo; il movimento potenziale. Nella posa di una persona c’è talmente tanto moto che difficilmente si potrebbe dire che è ferma anche in una foto. L’ombrello sorretto da quella donna è obbligato dalla sua mano a non ruotare né a cadere; quindi c’è un movimento del braccio, della mano perché tutto sia fermo. Gli occhi della donna guardano in una direzione precisa, né a destra né a sinistra, guardano verso un punto fisso e per farlo sono obbligati da un movimento. E come tali, ne potrei trovare tantissimi di movimenti nascosti.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

A Sapporo si corre una maratona oggi: la maratona dell’Hokkaido.
Centinaia di atleti scorrazzano per le vie della città. Mi sarebbe piaciuto parteciparvi. L’idea di attirare i loro sguardi durante la corsa? Forse. Ma soprattutto il fatto di correre in mezzo a loro. Partecipare ad una maratona dà una sensazione di appartenenza. È un passo in più verso la scoperta di una cultura.
La fatica, unisce. Ed è l’unione che crea connessioni, associazioni, collegamenti.
La fatica è l’enzima della comunicazione.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Mentre osservo ciò che mi circonda mi metto a pensare a quanto deve essere triste essere anglofono. Di solito si impara una lingua diversa dalla propria per necessità, o perché obbligati a scuola, o anche per piacere o per studio. Studiare una lingua ha duplici vantaggi. Il primo, più immediato, è quello di avere la possibilità di comunicare con persone che parlano una lingua diversa dalla propria. Ma un altro vantaggio è quello di comunicare con una persona senza che le altre capiscano ciò che dici. Questo è possibile se sei, per fare un esempio, italiano e ti trovi in Germania. Ma se sei inglese, ci sono altissime probabilità che qualunque cosa tu dica, questo venga capito da chi ti sta intorno. In Giappone il discorso è differente perché praticamente in pochissimi parlano inglese. Ma in generale, nel mondo ormai è così; essendo l’inglese la chiave della comunicazione mondiale, è come se la privacy di un intero popolo fosse stata violata a livello globale. Non so se sarei stato felice nei loro panni. Pensare a un mondo dove la lingua ufficiale fosse l’italiano… no, non credo che mi farebbe piacere.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Per non parlare poi di una parentesi che non voglio aprire su quanto sia arrogante iniziare un discorso nella propria lingua con la pretesa che, essendo la lingua affermata come internazionale, si possa essere capiti da tutti. Ho assistito a diverse scene che hanno del raccapricciante.
Ma a Sapporo la maggior parte non capisce e non parla inglese, per fortuna.

A Sapporo piacciono le serie matematiche e i colori accesi.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Dipingere il dipinto di chi dipinge. La ricerca di una linea di dettaglio che la natura ha nascosto bene da qualche parte. E allora mi sciolgo nei colori della natura per far sì che la mia capacità di cattura aumenti sensibilmente. Pretendo troppo? Ma la pretesa non è la mia. Si tratta di uno che sta seduto in mezzo al prato. Uno che disegna. Ma è uno oppure sono cento? È uno oppure è l’ambiente stesso che si sta disegnando? Credo di aver capito: l’artista è la coscienza della natura, il suo subconscio. Osserva se stessa dall’interno e l’uomo, l’artista, è il mezzo con cui lo fa. Affermo che l’artista è lo schiavo della coscienza della natura.
Altro che libertà d’espressione!

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

In questo angolo di terra c’è un parco.
Nel parco ci sono delle persone. Le persone si muovono all’interno del parco, che in realtà è anche un giardino botanico. Non è il primo che vedo.
Si muovono, ferme, anche delle strutture, delle case nel parco.
C’è chi le cattura.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Simmetrie, luci.
Ombre, disomogeneità.
Silenziosa umidità.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

C’è l’orologio che non ho, che sta segnando un’ora che non conosco. Pur non avendolo, né conoscendone l’ora so per certo che si sta muovendo. Si muove e diventa passato. Così i colori sbiadiscono nella memoria e alcuni vengono resi vivi dall’immagine. Di un fiore, per esempio. Di un fiore che nasce direttamente dall’acqua. Oppure è l’acqua che sgorga dal gambo del fiore?

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Ancora vengo sopraffatto dal silenzio. Perché dovrei mettermi a pensare proprio adesso, in questo posto all’inquinamento? Perché dovrei pensare ai voli aerei? E perché dovrei pensare alla globalizzazione delle menti, delle culture, delle lingue? Perché dovrei pensare a tutto questo? Alle differenze economiche che fanno muovere i ricchi verso i poveri per sfruttare i poveri e diventare ancora più ricchi per inquinare ancora di più? Dovrei pensare a questo? Io? Qui? Facciamo così. Lo penserò.
Lo penserò altrove.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Il patetico pensiero dell’uniformità esplode. Ecco cosa resta: un fiore di loto che aspetta il momento giusto per essere guardato.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

In che senso? Questa scena l’ho già vista? Intendi dire che ci sono persone che nascono dalla terra? E quali sarebbero coloro che non lo fanno? Ognuno ha il suo elemento, ognuno nasce da un elemento diverso.
Io voglio che gli uomini non siano più istruiti.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Mi ero addormentato.
Quando mi sveglio mi trovo di fronte a un anime. Ci sono persone che corrono, c’è la telecamera, ci sono alcuni sostenitori che suonano strumenti e incitano i corridori. Al momento non ne vedo. Al momento vedo un’immagine che mi esalta, allora preferisco proseguire prima che subentri la noia.
I corridori, lo sport mi mette in uno stato nostalgico: ho voglia di pedalare.

Sapporo - Japan - August 30, 2015
Sapporo – Japan – August 30, 2015

Per fortuna, poco più avanti, un’immagine mi riporta allo stato di gioia e divertimento di cui avevo bisogno. Animali trattati come persone: finalmente! O sarebbe meglio che le persone fossero trattate come animali? Ma che ne so. Il tempo passa senza che io capisca il perché (se dividessi lo spazio per la velocità, potrei trovare il segreto del tempo? Ma che significa dividere lo spazio per la velocità?), come posso pretendere di capire qualsiasi altra cosa?
Le cose infatti si percepiscono, non si capiscono. Il capire è solo una costruzione della mente, che percepisce e costruisce immagini nella memoria che chiamiamo pensieri, immagini. Insomma io posso affermare che non capisco.

Kamifurano - Japan - August 30, 2015
Kamifurano – Japan – August 30, 2015

Supponiamo di avere un solo foglio su cui disegnare, una matita e una gomma.
Le rotaie sono il foglio sul quale un treno disegna e poi cancella. I disegni si trasformano nel suono ripetitivo delle ruote sui binari, li percepisco come tali. I disegni però sono troppo volatili e vengono travolti dalla scia che lascia il treno dietro di sé.
Così capita coi miei pensieri e con i ricordi. Si volatilizzano e sembrano scomparire, ma rimangono comunque sospesi nell’aria. L’aria è schiava del vento e, prima o poi, mi riporterà alle orecchie quel suono, quindi il disegno, quindi il pensiero.
Ma ora sono a Kamifurano. Non c’è nessuno, a parte un tassista dentro la macchina. Io sto aspettando Tanaka-san. Mi sarebbe dovuto venire a prendere alle 17 in punto per portarmi alla Chinita farm per iniziare i 4 giorni di Wwoof. Mi guardo intorno, ma non mi pare di vederlo.

Kamifurano - Japan - August 30, 2015
Kamifurano – Japan – August 30, 2015

Volto lo sguardo e vedo l’ingresso della stazione. Sono così carine le stazioni in Giappone. Proprio nell’atrio, sulla sinistra c’è la biglietteria, a destra c’è una bacheca con tutti gli orari dei treni, vicino, una macchinetta automatica per i biglietti. Sulla parete dove c’è la biglietteria il muro è cosparso di ideogrammi. Mentre li guardo mi pare di sentire uno sguardo che mi passa attraverso la schiena. Ci metto un po’, ma poi mi giro e vedo che c’è un ometto con una pelle abbastanza scura solcata dalle rughe e un volto deciso e divertente, anche se alcuni tratti lo rendono burbero.
Capisco che è lui che sto cercando (o lui che mi sta cercando).
Mi avvicino e domando: “Tanaka-san?”, lui mi risponde in giapponese, ma non riesco a capire quello che ha appena pronunciato. Un treno sta per arrivare, si sente il rumore, quello lo capisco. Mi fa un cenno e mi invita ad entrare in macchina.
Finalmente sono in Giappone.

A Japan diary – Day 11

24.08.15 – Miyajima, Matsuyama

L’arte è questo: scappare dalla normalità
che ti vuole mangiare.
Stefano Benni, Margherita Dolcevita

C’è un bel tempio a fianco del ryokan.
E la mattina è così dolce da accompagnare una passeggiata per le scalinate del Daishō-in. Di qui a poco lascerò l’Honshu per raggiungere l’isola Shikoku, più a sud.

Il tempio è arroccato su una parete della collina e sale, ripido, verso la vetta senza raggiungerla. La sua peculiarità e quella di avere tantissime statuette di divinità sparse per il percorso, e ognuna di queste ha in testa un berretto di fattura e colore differenti.
Si respira un’aria appena umida, un torrente corre al fianco delle scalette, ignaro che andrà a riversare la sua acqua proprio sotto al torii in mezzo al mare.

Miyajima - Japan - August 24, 2015
Miyajima – Japan – August 24, 2015

Mi dimentico dell’ora; starei volentieri a osservare ogni piccolo dettaglio di quel posto pieno di pace e tranquillità, senza nessun turista intorno. Ma sto per tornare dalla parte della riva di Hiroshima per prendere il treno che mi porterà a Matsuyama. Di quanto tempo avrei bisogno per sentirmi parte di un luogo? Probabilmente ci vorrebbe una vita per ogni posto che visito. Ogni giorno, una vita. Impossibile e per questo, inevitabile pensiero da inseguire.

Daishō-in, Miyajima - Japan - August 24, 2015
Daishō-in, Miyajima – Japan – August 24, 2015

Il tempo peggiora, mentre mi dirigo verso il molo per prendere il traghetto. Trovo una caffetteria che sembra appena uscita dagli anni ’80, piena di dolci e di pane di tutti i tipi. Non mi è capitato ancora di avventurarmi nei prodotti da forno giapponesi. E sono anche quasi due settimane che non mangio pane! Non che mi manchi, ma sono proprio curioso. Scelgo a caso alcuni di questi, salati, con pomodoro e melanzane. Poi, preso dalla curiosità, prendo tre dolci, alcuni simili a croissant, altri da forme più “giapponesi”, come le palline di riso infilzate in uno spiedino.

Dogo Onsen, Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Dogo Onsen, Matsuyama – Japan – August 24, 2015

Il traghetto sta per partire. Fuori il mare sembra calmo, ma di un calmo che sembra promettere una rapida variazione di tendenza verso l’ostile. Il cielo è grigio, ma non piove. Nonostante questi presagi, il viaggio è tranquillo. Non c’è molto rumore sul ponte e gli altri passeggeri (pochi, per la verità) sono silenziosi e per la maggior parte dormono, sdraiati sulle comode sedie.
Arrivo a Matsuyama, e subito piove.
La stazione si raggiunge prendendo un bus che in 5 minuti mi porta al treno e, da lì, raggiungo il centro di Matsuyama. Con i due zaini in spalla, mi muovo a passo lento ma deciso verso l’ostello. Non conosco la strada e passo di fronte ad un edificio che mi ricorda qualcosa di rivisto. Sì! Si tratta del castello de La città incantata di Miyazaki! Mi accorgo di essere proprio di fronte al Dogo Onsen, uno degli onsen più antichi del Giappone. Affretto il passo per andare a mollare lo zaino, farmi la doccia per poi iniziare l’esplorazione di Matsuyama.

Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Matsuyama – Japan – August 24, 2015

La città è tranquilla e carina. Non ci sono turisti occidentali e l’unico occidentale che vedo è il ragazzo (presumibilmente australiano) dell’ostello. Prima di immergermi nelle acque bollenti del Dogo Onsen, vado a far visita alle cicale del parco Dogo, a pochi passi dall’onsen. Le cicale in Giappone sono enormi! Ne ho già viste altre, ma non mi stanco di vederle e sentire il loro suono; quel suono che ho sentito tantissime volte mentre guardavo gli anime di Neon Genesis Evangelion (per citarne uno). Quel suono che ho sempre pensato fosse un’esagerazione degli sceneggiatori, qualcosa che non esisteva se non nella realtà dei fumetti. Quel suono è qui, sotto forma di un insetto simpatico ed elegante. Ciò che stupisce è che la cicala che ho davanti, qui al Dogo Park, ha una specie di zaffiro in mezzo alla fronte.

Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Matsuyama – Japan – August 24, 2015

Vorrei capirne l’utilità ed il perché è così bella quella cicala con quella perla. Quanto vive una cicala? Quando arriverà l’inverno sarà già morta? Passeggio in mezzo a singolari statue di pietra cercando di raggiungere un tempio distante qualche chilometro dal Dogo Onsen. Camminare in Giappone, ovunque tu vada, è sempre un piacere. Le persone sono molto riservate ed i loro sguardi curiosi si lasciano stregare dalla diversità dello straniero in maniera piacevole e sottile. Non capita di sentirmi osservato, ma mi sento accolto. Ecco, lo sguardo delle persone in Giappone è accogliente. Se devo pensare a cosa, fino ad ora amo di questa terra è proprio il senso di pace ed accoglienza che mi trasmette il solo fatto di essere qui, accettato ed invitato a calpestare il suolo dalle persone che abitano questa bella isola.

Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Matsuyama – Japan – August 24, 2015

Oggetti animati pelosi a quattro zampe si avventurano in mezzo alle tombe e, indisturbati, restano a fissarti. Ti attirano a loro fino a 4, 5 metri e poi scappano, se osi avvicinarti qualche passo in più verso di loro. Neko-chan (猫ちゃん). Sono schivi e bastardi anche qui in Giappone. Sono sempre abbastanza invidioso della loro capacità di poter raggiungere qualunque posto loro vogliano, indisturbati. Anche qui non fanno eccezione e non si sforzano di mimetizzarsi tra le lapidi. Il colore di un gatto mi colpisce: è nero come le scritte verticali delle lapidi. Mi osserva con curiosità e, come mi punta gli occhi addosso, riesco ad individuare un’analogia tra i suoi occhi e quella specie di due crocette che si trovano nel kanji di neko. Sono pochi gli ideogrammi giapponesi che riesco a riconoscere, ma dopo quello sguardo. Il kanji di “gatto” lo ricorderò con facilità.

Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Matsuyama – Japan – August 24, 2015

Salto nell’onsen e mi lascio sciogliere dentro le vasche di acqua bollente. Appoggio il piccolo asciugamano piegato pieno d’acqua fredda (sarà una buona abitudine?) sopra la testa emulando ciò che fanno gli altri frequentatori dell’onsen. Godo del piacevole calore e della sensazione di benessere che dall’acqua penetra il mio corpo.
Prima di entrare mi sono lavato, bene, come si usa qui. È una forma di rispetto quella di lavarsi prima di immergersi nell’acqua di una vasca dove poi entreranno anche gli altri. L’ennesimo esempio di un’abitudine che regala a questo popolo un altro primato (oltre a quello del rispetto e della estrema cortesia), ossia quello della pulizia (maniacale!!!).
Credo di non esser mai stato così pulito in vita mia.

Matsuyama - Japan - August 24, 2015
Matsuyama – Japan – August 24, 2015

Non credo che molti stranieri abbiano visitato Matsuyama. Mi sento privilegiato ad aver scelto questa meta e sento che il viaggio mi sta portando sempre più vicino al cuore del paese. Sento che la mia è soltanto una sensazione e che di fatto, non lo raggiungerò nemmeno lontanamente. Eppure continuo a cercare, continuo a muovermi come se potessi svelare i segreti e le curiosità che si celano sotto i cieli del Giappone.

È tardi.

Una cameriera in kimono accompagna un cliente alla porta. La scena di per sé non ha nulla di particolare. Eppure voglio riviverla ancora continuamente, come se quella porta non si dovesse chiudere mai.

I am a river

Hue - Vietnam
Hue – Vietnam

Se sei un buon essere umano si vede da quanto umido produci. Meglio: se sei un buon essere umano produci una proporzione di umido maggiore rispetto agli altri scarti di qualsiasi-altra-cosa. Insomma più scarti cose prodotte, artefatte, più tu sei quello artefatto.
Non ti piace come idea? Pensa alle percentuali. Se pensi alle percentuali dovresti arrivare a capire quanto sei sporco. Tutto quello che getti è indicatore di quanto sei sporco. Ma qualitativamente, la proporzione è inversa: più getti incarti belli, più ti imbruttisci.

Io sono un fiume. Prendo tutto quello che mi viene gettato addosso e lo miscelo per poi riproportelo quando meno te lo aspetti. Gira e rigira la tua immondizia. Cresce il livello, si abbassa la tua statura. Io rimango sempre lo stesso, anche se mi ingrosso.

Io non ho niente da dire. Io ho tutto da dirti.
Tu non hai niente da dirmi. Tu hai tutto da darmi.

Ma sceglilo bene quello che hai da darmi. Io sono un fiume. E te lo rendo quando non ne ho più bisogno.

Fiocco

Queenstown - New Zealand
Queenstown – New Zealand

Esistono cose che succedono perché sono conseguenza di altre cose che succedono.
Se accadono quelle cose che sono conseguenza di altre cose è perché magari le prime sono accadute a causa di altre cose ancora. Più sono fitti questi cicli di consequenzialità, più ci sembra di assistere a un miracolo (che la religione non sia stata costruita proprio così?)

Oggi i fiocchi sono enormi. Sono enormi e si appiccicano sulle macchine, sull’asfalto (lì dove non passano le auto). Loro, le quattro ruote, spesso più, a volte meno, vanno veloce. Loro, i fiocchi, scendono lentamente. Fiocchi e auto esistono come conseguenza di altre cose che esistono.

E se ripetessi questo procedimento ricorsivamente?
E se lo ripetessi in eterno?

Forse è proprio questo il senso della vita.